Ho conosciuto Lalli nei primissimi anni Ottanta a Torino, poco dopo che era uscita la cassetta “Luna nera” dei Franti. Lei fino a poco prima cantava con i Luna Nera, cioè i Franti prima di diventare i Franti, e il suo contributo era stato assai decisivo per progettare, costruire e caratterizzare il gruppo.
Ribelli e impossibili da consumare, nonostante bazzicassero praticamente la medesima scena e gli stessi luoghi di ritrovo, i Franti sono stati cibo difficile sia per i vecchi compagni che per le giovani teste anarchiche dell’epoca. Proprio come profondi e inattaccabili sono stati i loro dischi, davvero poco adatti alle orecchie di chi era abituato al rock come lo si conosceva allora e altrettanto poco vicini ai gusti di chi preferiva ascoltare punk e le cosiddette nuove ondate. Avventurandosi nei suoni del decennio nuovo con ben inchiodate dentro in testa e nel cuore le musiche più libere del decennio precedente, i Franti hanno costruito oggetti sonori ibridi e canzoni che non somigliavano a nulla di quanto accadeva loro intorno, tanto che nelle enciclopedie del rock sono generalmente considerati come “un caso a parte”. Il gruppo era piuttosto ruvido e poco propenso a farsi ammirare, concerti e uscite discografiche sono stati occasione rara e fuochi destinati a pochi. Nonostante siano stati più volte ristampati su cd e piuttosto facilmente rintracciabili, nonché resi disponibili per download gratuito (cercate i Magazzini Franti al link http://www.magazzinifranti.it/) i loro dischi li ritroviamo spesso oggi ai mercatini e alle aste, con appiccicato sopra un valore di mercato sebbene siano stati realizzati per tutt’altro scopo che il lucro.
Dopo lo scioglimento Franti ha continuato a vivere in forme diverse nascosto dietro a progetti personali, intrecci, riunioni ed esperimenti. Lalli è partita alla grande dimostrando che un certo modo di intendere la musica è ancora possibile senza ammiccare e senza cadere nella maniera, nell’imitazione, nei suoni di moda: Rockerilla considera il suo album di debutto “Tempo di vento” (ed. il Manifesto, 1998) il miglior disco di rock italiano e Il Mucchio lo ritiene il miglior disco d’esordio italiano di quell’anno. Ad esso seguono altri quattro lavori fatti di canzoni storte, introspettive e ben suonate. Fatte di belle melodie che restano in testa ma soprattutto arricchite di testi importanti, che amano certe profondità, che vanno letti e fatti sedimentare. Dopo un silenzio discografico fatto grossolanamente di salute che va e non sempre torna, nel 2016 esce in Inghilterra per la piccolissima indipendente Black Cat un vinile difficile, di nome “Un tempo, appena” realizzato insieme al contrabbassista Stefano Risso – uno che sa aggiungere sentimento e spessore al suono che gli si incendia sotto le dita. A solo qualche mese di distanza l’album è pubblicato in Italia su cd da una cordata di piccoli produttori indipendenti e che nuovamente è venuta in aiuto anche per questo nuovo lavoro, in uscita in questi giorni. Mi rende davvero orgoglioso essermi ritrovato coinvolto nella realizzazione di questo lavoro dei miei compagni, ed aver potuto portare il mio contributo. L’album si chiama “Qui” (ed. stella*nera ed altri), e secondo i musicisti è insieme un punto di arrivo e di ripartenza. Aggiungerei che è anche punto di sosta e riflessione. Lalli ha scritto una sorta di quaderno di impressioni sopra e intorno al quale Stefano Risso ha lavorato di contrabbasso e soprattutto di invenzioni sonore. Inaspettatamente il disco è per grande parte parlato, raccontato, sussurrato. Il canto che si spoglia delle note per godersi qualche sprazzo di luce fra i rami delle parole, e alle rime preferisce ricordi e storie, e mettersi a dire di vite e di difficoltà, di smarrimenti e ritrovamenti – proprio perché il viaggio attraverso questi ultimi anni è stato difficile, per tutti ed ovunque.
Si potrebbe pensare a “Qui” come un porto dove ci si è fermati per riordinare le idee e rimettersi in salute. Un posto che serve per riparo ma che è anche terra da lasciarsi indietro presto – perché l’urgenza di conoscere altre stelle è forte e cresce, e divora l’anima come una sete che non si sa spegnere.
Marco Pandin